Lino
mi ha chiesto di proporre come Vangelo per questo nostro incontro il testo che
fa riferimento “alla pietra scartata”.
La
sua richiesta non mi ha stupito, perché ho ripensato rapidamente sia alla
storia di Lino ed Antonella sia a quella di Marco.
Non
è un mistero che Lino ed Antonella, a causa delle loro scelte di vita, siano
stati considerati, nel migliore dei casi, piuttosto originali e per molti un
po’ eccentrici o addirittura
incoscienti.
Le
loro scelte apparivano magari buone ai più, ma comunque frutto di fantasie
coltivate da persone che non avevano “i piedi per terra”.
Se
fossero stati “normali”:
- si sarebbero accontentati di fare solo due o tre anni di volontariato internazionale, invece ne hanno fatti una dozzina;
- una volta tornati in Italia dall’Equador, si sarebbero dedicati al lavoro e a costruirsi una casa;
- ed ora, dopo una “normale” ed onorata esistenza, potrebbero tranquillamente avvicinarsi all’età della pensione e, magari, dedicare qualche ora di volontariato all’oratorio!
Invece
… hanno seguito un tracciato di vita dalle righe.
Scelte
da molti apprezzate, ma considerate impraticabili, “non normali”, non
proponibili.
Eccentriche,
appunto!
Quanto
basta per dire:”per loro vale un discorso a parte”.
In
questo camminare fuori dalle righe anche Marco ci ha messo del suo!
Aveva
raggiunto la maturità di uomo quando l’incidente ha cambiato la sua vita e
quella della sua famiglia.
Per
un lungo periodo fu “pietra di scarto”, poi seguì, per la gioia di tutti, il
tempo del recupero.
Se
Lino ed Antonella potevano essere paragonati alle pietre messe da parte a causa
delle loro scelte, Marco lo era divenuto per quell’incidente che aveva limitato
in maniera pesante i suoi progetti di uomo e la sua stessa autonomia.
“Padri”
e figlio per motivi e circostanze diverse si trovarono accomunati nella
situazione di esistere come pietre scartate o scartabili dai costruttori.
Ciò
che sorprende nel messaggio di Gesù, ripreso dalla riflessione degli Apostoli,
è la riflessione successiva e cioè che “la pietra scartata è diventata testata
d’angolo”; come dire che essa si è trasformata in “pietra maestra” sulla quale
si fonda il nuovo edificio.
Oggi
siamo chiamati ad approfondire questa indicazione del Vangelo e a verificarla
nelle vicende umane che abbiamo ricordato.
Quali
sono le caratteristiche del nuovo edificio che si sta costruendo tra di noi?
Che valore ha ciò che sta nascendo dalle pietre a lungo scartate?
Io
vorrei partire dal luogo in cui ci troviamo e dalle due costruzioni materiali
che sono state realizzate fino ad oggi.
Il
luogo , innanzitutto.
Esso,
per lungo tempo, fu piccola valle per il rifugio e la vita di un certo numero
di famiglie, valle con prati, viti e un frantoio per ricavare l’olio dalle noci.
Poi,
progressivamente, il luogo venne abbandonato e dimenticato fino
all’insediamento di Lino ed Antonella.
Con
loro la valle è tornata a rifiorire.
Anche
Marco ha lasciato un segno e ora Luca, Chiara e Simone continuano egregiamente,
con tenacia e con tutta la forza dei loro vent’anni, il lavoro di
trasformazione.
La
Rancina scartata ridiventa sorgente di vita.
Ancor
più che la risurrezione della Rancina, mi sorprende ciò che accaduto in questi
anni in questo luogo.
Sorprende
la presenza fedele di tanti amici, la frequentazione di persone anche
sconosciute e di ogni età.
Sorprende la collaborazione sostanziale di tanti che
hanno offerto o prestato senza interesse piccole o grandi somme di denaro per
la costruzione prima della casa in legno per la famiglia di Marco e poi per la
stalla imponente che inauguriamo oggi.
Nei
gesti compiuti possiamo individuare il profilo di un modo nuovo di stare
insieme al punto che ci viene spontaneo concludere con il Vangelo: “è
incredibile! È una meraviglia a nostri occhi!” (Mt. 21,42)
Questo
è accaduto!
Non
perché Lino, Antonella e Marco si siano trasformati in professionisti
dell’elemosina.
Il
loro senso di dignità, la caparbietà del loro lavoro e la fierezza che li
caratterizza gli avrebbero vietato di percorrere questa strada ignobile.
NO!
Essi
hanno trasformato la loro assenza di mezzi in una risorsa per incominciare a
vivere in modo diverso; a pensare il rapporto con la terra in maniera più dolce
e rispettosa, per costruire rapporti sociali, economici e umani basati sulla
solidarietà, sull’accoglienza e non sulla paura dell’altro.
Queste
cose sono state realizzate, non perché sono stati bravi a chiedere, non perché
hanno sfruttato la loro condizione.
Le
cose che vediamo sono il frutto di un modo nuovo di pensare e di rapportarci
tra di noi.
Esse
ci appaiono perciò come dei segni, delle piccole e parziali realizzazioni di
una società nuova in cui l’impossibile diventa possibile grazie a logiche
diverse.
Le
scelte non più fatte in base al calcolo, allo sfruttamento dissennato della
terra e degli esseri viventi che la abitano.
Il
rapporto tra investimenti e guadagni, tra prestiti e interessi non è più il
solo criterio-guida delle nostre scelte.
Chi
ha collaborato lo ha fatto per investire insieme, certo a beneficio delle
famiglie che vi abitano, ma anche perché tutti quelli che frequentano questo
luogo (e sono ormai tanti!) possano sentirsi a casa loro e possano vivere
meglio.
Hanno
quindi pensato che l’amicizia e la solidarietà contano di più dell’interesse.
Questa
proprietà aperta è frutto di tanti e appare in netta contestazione di tutte
quelle proprietà per le quali ci sente unici costruttori e proprietari.
E’
una contestazione forte della privatizzazione esclusiva di una parte del
territorio.
Non
un luogo che allontana, che intimorisce l’altro, che lo esclude, ma un luogo
che si apre all’accoglienza, alla collaborazione, all’interesse verso ciò che
l’altro è, verso ciò che l’altro rappresenta.
Perfino
un luogo dove si può imparare e insegnare.
La
Rancina e le famiglie che lo abitano diventano luogo di tutti e luogo per tutti
coloro che si sentono o vogliono sentirsi parte attiva di questo sogno in grado
di suscitare la speranza di relazioni vere e più pienamente umane tra di noi.
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